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giovedì 22 settembre 2016

Il mito della "crescita economica" come falso modello di benessere


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Esistono concetti talmente reiterati in modo compulsivamente ossessivo dalla squallida maniacale propaganda orwelliangoebblesiana di regime che molte persone, distrattamente sopraffatte dall'abitudine, finiscono per non ricordarsi nemmeno più che cosa significhino davvero, e quanto siano completamente imbecilli se confrontati con la concreta realtà.
Uno di questi è il mito favolistico della "crescita", slogan da piazzisti di periferia della pubblicità economica da quattro soldi insistentemente strombazzata per i poveri gonzi.
Varrebbe ricordare che la vita umana è un fenomeno organico, e che nessun organismo può crescere indefinitamente.
Ma non è necessario avventurarsi in simili sottigliezze biofilosofiche, perchè bastano considerazioni molto più semplici a smontare la mitologia infantile della crescita continua: il pianeta Terra, che ospita e contiene la nostra esistenza, è un ambiente limitato, finito, e nessuna crescita di prodotto può continuare all'infinito per evidente inesistenza di risorse sufficienti a supportarla. Ci sono N metri cubi di materiale disponibile e basta, e un numero molto minore di metri cubi di qualunque elemento chimico intendiamo usare per costruire qualunque cosa. Piaccia o no, c'è una quantità finita di rame, mercurio, ferro, molibdeno, ossigeno, azoto, argon.....non c'è modo di ottenerne di più per alcuna ipotesi di crescita infinita di prodotto di qualsivoglia genere e specie.
Eppure il problema era già chiaro almeno fin dai tempi della Grecia classica, la cui cultura filosofia detestava il concetto di infinito (apeiron) proprio per il suo ingannevole aspetto intellettuale contrastante con la realtà dei fatti, e nel XIX seolo Nikolai Lobachevsky riformulò la geometria proprio per evitare gli equivoci formali sull'infinito che certamente già inquietarono Euclide, il quale negli Elementi cerca di non citarlo mai, tant'è vero che non parla di "rette infinite" bensì solo di "segmenti lunghi a piacere", in modo da aggirare il problema.
Ma anche riguardo l'economia Aristotele aveva ben distinto la oikonomé tekné, ovvero l'attività produttiva necessaria a soddisfare i bisogni del gruppo familiare, dalla krematistikè teknè, riprovevole attività finanziaria dedita ad "accresere il denaro tramite l'uso del denaro", equivalente all'odierna finanza speculativa, che il filosofo condannava anzitutto per motivi etici quale guadagno di valore senza corresponsione di lavoro, dunque ottenuto derubando prodotto da lavoro altrui, considerazione che anticipa di oltre due millenni l'idea di plusvalore in Marx; ma deprecandola pure per motivi logici, poiché ingannevolmente illude sulla possibilità teorica di accresimento infinito, andando dunque a sconfinare nelle contraddizioni dell'apeiron: a [non, senza] peirar [limite, fine].
Una bugia demistificata da almeno due millenni e mezzo ancora imperversa nella pubblicistica massmediatica, a ingannare fraudolentemente gli ingenui. Poi i superficiali sostengono che la scuola non serva a nulla, mentre invece se avessero studiato con un po' di attenzione avrebbero evitato tante truffe colossali, già individuate da così tanto tempo...

Vincenzo Zamboni

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