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giovedì 14 gennaio 2016

Nereo Villa e l'ascesi nell'associazione scientifico-spirituale



Perché un’associazione scientifico-spirituale viva le occorre ogni giorno la materia prima che ne giustifichi l’esistenza: lo spirito. Quando questo venga meno l'associazione può sussistere solo in quanto qualcosa che non è lo spirito, ne prende il posto, tuttavia continuando a operare come fosse lo spirito. Anzi, allora appunto opera con la sicurezza propria a tutto ciò che si fonda sulla propria esteriore organizzazione.

L'associazione è l’esperimento di una relazione umana tra individualità che già unisca una sintonia secondo antimateria umana, costituita dall’io. E poiché l’associazione CONSEGUE al riconoscimento concorde di un’ascesi e/o del relativo PROGETTO di riforma sociale, proprio per questo NON PUÒ ESSERE IL PRESUPPOSTO dell’attività ascetica e/o del relativo PROGETTO.

L’organizzazione non può prevalere sull’idea: il modo di organizzarsi non deve condizionare il lavoro interiore dei soci, né dev’essere ciò che suscita loro coesioni o contrasti. Il modo di organizzarsi fa parte dell’attività interiore di ognuno, e ciò nella misura in cui si attui come RICERCA della forma esteriore, non come ciò che possa indicare o determinare i valori.

Questo compito è difficile, dato che richiede la presenza del conoscere (competenza) di cui ci si ritiene portatori per il fatto dell’associarsi: ininterrottamente dunque le modalità esteriori vanno distinte dai contenuti interiori.

Coesioni e contrasti, infatti, generandosi come attività interiori, non possono che riferirsi a temi di conoscenza ed a forme di ascesi promotrici del PROGETTO: non dovrebbero mai impegnare lo spirito, cioè l’io, e condurlo a tensioni inferiori. Se ciò avviene, avvenga per essere conosciuto, e conosciuto per essere superato, per virtù di slanci più profondi, che sono momenti ulteriori dell’ascesi e/o dell’attuazione che si persegue.

La modalità organizzativa in quanto tale esige soltanto soluzioni logiche, in ordine a intese che siano forme dell’interiore intesa di base. Se la modalità organizzativa suscita contrasti, non va commesso l’errore di credere che il motivo sia appunto il modo dell’organizzarsi, ma occorre avvertire che nell’ordine spirituale qualcosa non va, e che soltanto il riveduto rapporto con esso potrà illuminare il senso delle divergenze. Queste ultime dovrebbero essere contemplate come segno di ulteriore lavoro spirituale, non come ciò che deve divenire valore spirituale; dunque: non come ciò che deve determinare ulteriore movimento dell’associazione.

Ma è chiaro che un simile rapportare il fatto al pensiero intuitivo - che è l’insegnamento della Filosofia della Libertà (Steiner) - può essere il compito di orientatori secondo lo spirito. E non sempre gli organizzatori, i propagatori, o i dialettici sono coloro in cui lo spirito esprime il suo potere di orientamento.

SI TRATTA DEL FATTO ASSOCIATIVO PIÙ DIFFICILE, PERCHÉ NON PUÒ AVERE BASI NEL MONDO CHE ESISTE, MA IN QUELLO CHE VERRÀ, OSSIA FUORI DEL MONDO CHE GIÀ ESISTE. Basi che vanno ogni istante immaginate di nuovo, ricreate: essendo puramente interiori. Invece associazioni, gruppi e partiti ordinari sono possibili su basi che sono il passato dell’umanità, cioè la società quale già è, il mondo già fatto, la necessità esistenziale, e la natura dello status quo.

Un’associazione scientifico-spirituale è un organismo invisibile che si proietta sul piano visibile come forza risolutrice dei contrasti propri alla relazione egoica: contrasti che sono previsti, anzi necessari come materia dell’opera unificatrice, e come sostanza dinamica dell’azione associativa.

In genere però avviene che la relazione egoica prevalga, e imiti lo spirituale, per sussistere in quanto stato di fatto egoico in veste spirituale. Ciò che in tal modo sussiste non è altro che unificazione astratta, organizzativa o accademica, propria alle associazioni profane. E ciò si verifica per l’affievolimento delle coscienze, nella misura in cui l’insegnamento originario (vale a dire l’assolutamente necessario superamento di ogni giogo proveniente da dettami partitocratrici, costituenti il VECCHIO) venga progressivamente trasformato in formule, in regole, in sentenze, o in nozioni particolari, di cui si fanno propinatori soggetti sedicenti "anziani" (di un forum per esempio o di altra fazione), o vicini al “maestro”, o al “presidente”, e che assumono la funzione di istruttori riguardo ai nuovi venuti, trasmettendo qualcosa che vorrebbe valere come un insegnamento più riservato e più efficace di cui si presumono depositari: con ciò distraendo l’associato dal contatto con il vero insegnamento: che può vivere soltanto in quanto divenga esperienza, e come tale produca continuità inestinguibile fino a PROGETTO ATTUATO, ed oltre, essendo l’attuazione sempre perfettibile e mai esaustiva.

Ciò che può essere insegnato deve PRODURRE TALE CONTINUITÀ: non può essere accademica filiazione, bensì il fiorire di un ramo dell’albero sempre verde.

L’insegnamento originario non patisce organizzazione scolastica o accademica, che non sia mediazione di continuo riconosciuta, e perciò o superata o estinta: di continuo ricreata dall’intimo come un ideare inesauribile. Ciò affinché l’organizzazione abbia l’esistenza unicamente giustificata dalla presenza di ciò che deve essere organizzato.

Quando l’organizzazione presumesse impersonare l’idea, per cui la sistemazione e la formulazione esteriore tendessero a valere nella loro astratta determinazione come segno tangibile dell’idea, questo è segno che l’idea è stata smarrita, e un altro contenuto opera al suo posto. Infatti si agirebbe rispetto alla dottrina originaria secondo il “realismo” proprio al sapere attuale (nozionismo, quiz, ecc.), a cui sono sufficienti la sistemazione logica e l’astratto apprendimento perché le sue verità siano trasmesse, essendo “cose”, non idee viventi.

Si tratta di una dinamica del putrido che si delinea press’a poco come segue. L’associazione scientifico-spirituale si inizia per lo spirito. Ad un certo punto, prevalendo in essa gli organizzatori, diviene inavvertitamente condizione allo spirito. O si è in essa o non si è nello spirito, come se lo spirito fosse luogo, accademia, situazione esteriore, anziché “io”: è l’ideale di coloro che identificano lo spirito, cioè l’io, con un fare spirituale e/o sociale, come se vi fosse un fare spirituale e/o sociale che potesse essere vero fuori dall’io.

In un organismo spirituale è l’idea in quanto vivente, cioè in quanto forza formatrice, che giustifica la forma: altrimenti la forma è già alterazione dello spirituale, proprio perché forma ortodossa, fedele ai dettami custoditi come princìpi, vale a dire: come tradizione in cui non la libertà determina il lavoro associativo, ma la regola (legge o Statuto), la quale dovrebbe invece riguardare solo il modo associativo. La legge infatti, ha sempre la “facies” della moralità, non la moralità.

Il mondo esteriore ha bisogno di leggi, regole, istituzioni: sono quelle leggi che, invecchiando mentre l’uomo cammina, costituiscono la forza dei “farisei” di ogni tempo, ed il motivo della lotta ideale dei pochi che in ogni epoca tendono a rinnovare tali leggi, regole, ed istituzioni, pur obbedendo ad esse.

Diversa è la situazione di una associazione scientifico-spirituale, dato che la sua “regola” è per un incontro UMANO che rifletta l’incontro interiore: non contempla la mera convivenza esteriore. Essa è un evento immateriale a cui si intende dare supporto umano. Vi confluiscono due forze: uno “spontaneo” impulso a incontrarsi, e la determinazione cosciente nello sperimentare lungo il tempo l’incontro. A questa esperienza si tenta di dare organizzazione esteriore: giusta e necessaria nella misura in cui sia il continuativo convergere delle due forze accennate.

A differenza che nelle associazione ordinarie, nelle quali il principio o la regola dell’associarsi vengono dedotti dal fatto associativo, nell'associazione scientifico-spirituale tale principio è conseguenza di lavoro interiore e, rispetto a quanto presenta di contingente e di umano, diviene materia di un cosciente SPERIMENTARE. In tal senso può essere regolato da uno statuto di volta in volta rinnovabile, e le cui idee sono il segno della relazione morale conseguita. È tuttavia un regolamento che riguarda unicamente le modalità dell’associarsi, fuori della pretesa che esso valga a determinare il significato o il valore del lavoro spirituale dei soci.

La società è anzitutto “fratellanza invisibile”, e non è detto che la società visibile la incarni veramente, dato che incarnarla è una méta, non un punto di partenza. Non dovrebbe commettersi l’errore di credere che la società sia vera solo per il fatto che esiste: il suo esistere è appunto il limite che l’idea, in quanto presenza vivente, risolve. Altrimenti si cade nell’astrattezza della moderna sociologia, per la quale il dato di fatto è il principio dell’indagine, ignorando l’attività interiore che pone il dato di fatto, e che consente l’indagine. In tale astrattezza la realtà sociale è infatti ridotta al suo più pedestre livello, cioè a meno di ciò che essa stessa è come esperienza materiale.

Non dovrebbe essere commesso l’errore di credere vera la società esistente, dato che vera può solo essere quella che si fa e che dovrà farsi. Non può essere vera la società la cui organicità sia reale in quanto conforme allo statuto, per cui chi è in ordine con lo statuto è in ordine anche spiritualmente (fariseismo proprio alle chiese cui non interessano le persone interiormente attuanti la religione, ma quelle osservanti il culto nel suo ortodosso formalismo, perché più utili dal punto di vista politico o degli interessi mondani).

Un’associazione scientifico-spirituale non può che essere accordo di anime secondo l’esigenza della libertà sperimentata come momento vivente del pensiero. Ma anche in tal caso l’accordo non è qualcosa di già fatto, bensì da farsi. L’aspirazione alla libertà è un evento che va attuandosi; non è un fatto, o una cosa che si abbia una volta per tutte; è la creazione sempre nuova: perché ogni volta rivelante il suo segreto. È il principio per la cui inosservanza anche i migliori si perdono, e diventano meccanizzatori dello spirituale.

L’associarsi è un tendere a coltivare lo spirito di comunità, in quanto si sia individui singolarmente operanti per lo spirito. La cooperazione individuale è la vita dell’associazione. In tale vita, la fraternità coltivata nell’esperienza della comunità diventa potenza dell’individualità perché è la prova oggettiva dell’egoismo. L’essere insieme agli gli altri e dimenticare se stessi, attuando ciò non per diminuzione di coscienza di sé ma per il suo ampliamento, è la più alta educazione dell’“io”: dato che ordinariamente l’essere insieme di gruppi, crocchi o partiti, è inevitabilmente per il denominatore comune inferiore: ciò che v’è di più basso li unisce.

Il pericolo è perciò l’inversione del reale processo unitivo, ossia il ricadere nell’“anima di gruppo”, quella che caratterizza le solite associazioni e i partiti: nei quali occorre la rinuncia alla libertà interiore perché si dia la partecipazione degli individui, e in tal senso il loro accordo (i partiti e le associazioni ordinarie, preparano oscuramente a livello di realismo ingenuo o di esteriore primitivismo, per altro anche intellettualmente brillanti, un impulso alla comunità, tramite la cooperazione di esseri non ancora realmente pronti all’esperienza cosciente dell’io e della libertà. Quando invece tale impulso è trasformato in motivo, trasforma anche il suo contenuto di positività interiore, e può essere assunto concretamente dall’“Authiq Iomin” (nome ebraico dello “Spirito del tempo”, “l’Antico dei giorni” della Bhagavad Gita), dove questo possa operare attraverso i preparatori delle vere comunità!

Seria è dunque la responsabilità dell’associazione scientifico-spirituale che venga meno all’impegno per cui è sorta, in quanto non fornisce al mondo che si va organizzando in gruppi, in associazioni, in comunità, il modello che gli urge ed, anzi, fallisce imitando inconsapevolmente l’interno modo di associarsi: politico, diplomatico, fatto di abili combinazioni, di coesioni e di consensi.

Il movimento motivato dev’essere la condizione del movimento associativo. Quando coloro che presumono dirigerlo non sono qualificati ad attuare un simile rapporto, è inevitabile che il contrasto interno si verifichi nella forma di contrasto umano.

La ragione per cui un’associazione scientifico-spirituale possa avere contrasti interni dovrebbe essere riconosciuta come la conseguenza dell’intendimento dei suoi componenti di superare tutto ciò che possa presentarsi come contrasto dovuto al fatto dell’associarsi.

Il contrasto è sempre il segno di ciò che dev’essere conosciuto, e che si chiedeva di conoscere come ciò che avrebbe dovuto e che deve essere risolto. Risoluzioni esteriori come separazioni o alleanze sono solo provvisorie, forme di una crisi che non si sa cogliere nel mondo delle idee: crisi di metodo, e/o della formazione interiore, crisi della giusta ispirazione, e/o della comunione con l’insegnamento originario (che ognuno porta in se stesso come virgolette alla parola “partito”, vale a dire l’assolutamente necessario superamento di ogni giogo proveniente da dettami partitocratrici, costituenti il VECCHIO).

Eppure le soluzioni esteriori sembrano superare la crisi, la quale permane sotto lo strato degli accomodamenti, delle dichiarazioni di amicizia, fraternità, delle riprese accademiche, delle conferenze, delle manifestazioni ridondanti di fasto attivistico-organizzativo e di spirituale esibizione.

Quando si ritrova l’accordo che è il fittizio accordo, perché fondato non sull’intesa spirituale ritrovata attraverso il sacrificio e la conoscenza, bensì su accomodanti compromessi, ossia su coesioni che sembrano interiori ma sono mondane, su accostamenti umani che non sono segni di incontro spirituale ma di egoico interesse, un simile accordo sarebbe meglio che non ci fosse.

È l’accomodamento della natura umana, assetata di soddisfazione spirituale, bramosa di incensare e di essere incensata: l’accordarsi della natura, mediante le forme dialettiche capaci di rivestirne le tendenze, con ciò che dal basso domina il mondo attuale. È l’accordo secondo convenienza.

Quando la “conformizzazione” è in atto, e la volontà individuale è automatizzata dall’insegnamento accademico, i soci tengono allo statuto - a quello già esistente o a quello da riformare - come a ciò che è più importante: per poter dipendere da esso, per essere in una regola, a cui conformare l’organizzazione che, in quanto insieme di membri, viene considerata organismo spirituale. E ciò sempre per la tentazione di fissare lo spirito come se fosse una cosa che possa tenersi in mano e che non abbia a sfuggire, che possa essere riferibile a un luogo, una sede, un partito, un conferenziere, o a un presidente che porga le verità come oggetti palpabili e conservabili.

La materia della scienza spirituale viene allora scambiata per l'idea che in tale materia si esprime nella contingente sua forma: il sapere viene preso per il conoscere. Non ci si è impegnati a permanere nel movimento del pensiero che si è proiettato in quella forma. Tale impegno non va certamente richiesto ai principianti e ai meno provveduti, ma va certamente richiesto a coloro che presumono dirigere l’associazione. Avviene invece quasi sempre che proprio i meno provveduti riguardo a tale esigenza (in quanto più provveduti di “realismo” o di senso organizzativo della cosa, o della materia scambiata per l’idea, i più provveduti di quel patente sapere che persuade gli ingenui o i primitivi, e dunque del talento pratico e dialettico richiesto dal profano modo di associarsi del mondo attuale, dov’è richiesto tutto fuorché una gerarchia dei valori) prendano le redini del movimento.

Quando i dirigenti di una presunta associazione scientifico-spirituale tengono alla loro funzione di dirigenti (cioè ad avere in mano le fila del movimento, giungendo perfino ad adoperarsi per conseguire ciò, impegnandosi inoltre nel provvedere ad ogni manifestazione esteriore ed accademica che convinca circa la verità o la necessità del loro insegnamento, cercando di smorzare le voci discordi e di documentare di volta in volta l’immancabile buona riuscita delle manifestazioni, secondo uno stile politico ormai generalmente invalso) è chiaro che il movimento che essi dirigono non è più movimento spirituale ma qualcosa in cui è in atto l’alterazione del contenuto originario, in una forma solo un po’ più seria di quella materialistica, svolgendosi sotto l’insegna dello spirito. Nella veste dell’immateriale, esso è lo stesso movimento dialettico del materialismo, che suscita sentimenti di fede, non atti di pensiero; emozioni personali, non idee; visionarismo, non visione; nozioni e argomentazioni, non conoscenza spirituale, dato che la conoscenza non può disgiungersi dalla libertà.

È il surrogato dello spirito che, affermato, propagato, e voluto con la facile volontà con cui si tende alle cose materiali, dona anche forze, ma si tratta di forze che potenziano l’ego, forze con le quali si acquisisce autorità sui nuovi associati, ai quali si insegna la libertà dialettica (nozioni, quiz), ma si toglie la libertà, dato che li si vincola con una serie di norme, sentenze, doveri, rivelazioni, formule di un’ortodossia avuta in retaggio e fissata una volta per tutte, per giudicare chi sia o non sia nella cittadella dello spirito. Si genera allora un conseguente stato inconsapevole di presunzione nei riguardi degli altri, nei riguardi di dottrine o correnti che non si è avuto nemmeno la correttezza di conoscere, ed una mania di convertire il prossimo in quanto si presume essere portatori di ciò che può migliorarlo. Mentre solo il NOSTRO miglioramento, se è vero, può migliorarlo.

Nell’associazione scientifico-spirituale, il mondo dei semplici, degli umili o degli sprovveduti (quello che va ordinariamente a costituire la massa di manovra dei politicanti di tutte le correnti) può essere aiutato soltanto da coloro che abbiano il coraggio della fedeltà all’idea originaria e perciò attingano all’inesauribile che è dentro di loro.

Perché il bene è l’idea che si attua e il male l’idea che non si attua. Il male è il fatto che vuole operare in luogo dello spirito ed apparire bene, afferrabile come cosa (che sarà sempre illusoriamente afferrata).

Il male è tutto ciò che come fatto, istituzione, organizzazione, natura, opera in luogo dell’idea originaria, in quanto il suo essere fatto si traduce immediatamente in valore interiore per via di forze che di esso consentono all’uomo soltanto l’apparire sensibile. Mentre l’apparire è il limite di un movimento ab interiore, che lo spirito dovrebbe riconoscere come proprio: non il limite che condiziona lo spirito.

Un’associazione spirituale che creda di operare spiritualmente in quanto spaziale e temporale fatto associativo, è già un’associazione contro lo spirito. Essa non può fare lo spirito, bensì lo spirito fare di essa, qualcosa. Non possono essere gli organizzatori esteriori dell’associazione i produttori dello spirito che giustifichi l’organizzazione, ma solo esseri che incomincino a coltivare se stessi, con ciò essendo veri organizzatori: non condizionati né dall’appartenere all’associazione né dal non appartenervi: soprattutto non affetti dalla brama di essere dirigenti dell’associazione.

L’associazione deve avere il suo corpo, il suo organamento, la sua vita esteriore. Ma l’associazione che si coltiva nell’invisibile non quella per la quale la determinazione visibile sia divenuta ragion d’essere. In verità, l’io non soffre obbligazioni, o schemi umani. Esso è come “il vento che non si sa dove vada né da dove spiri”: per cui là dove la norma e la legge non gli chiudano il varco, ma siano la norma e la legge che essa ogni volta esige e crea, esso è presente per una conseguenzialità estremamente semplice: là dove trova ostruzione, e non potendo passare, esso cerca altre vie. Non avendo passaggi obbligati, il suo sentiero è quello dell’infinita libertà.

Il male è l’idea che non si attua, il bene l’idea che si attua. Il male è l’idea che si finge attuata. Il male è il fatto che si scambia per l’idea, ed il modo di pensare ed operare, di cui tale scambio ha bisogno: l’attivismo, che sostituisce l’attività del pensiero.

Allora il gruppo, o l’associazione, ritorna il gruppo o l'associazione non afferrabile realiter: si ricostituisce con coloro che permangono fedeli all’idea primamente intuita. Esso può anche affiorare come gruppo visibile che, fuori dell’accademia, svolge la sua opera, non definendosi, non tagliando né facendo ponti, non cercando alleanze né contrasti: lasciando liberi nella loro decisione coloro che hanno bisogno di segni esteriori per conoscere termini o confini dello spirito.

Il gruppo o i gruppi si riformano secondo incontri dell’anima e comunioni individuali: si riaffermano anche come organismi esteriori, per virtù del loro ritrovare la forma invisibile. Essi sono associazione scientifico-spirituale che, per esistere, non ha bisogno della determinazione esteriore: ma perciò la sua determinazione esteriore può essere la forma visibile dello spirito: non sia dunque l’associarsi il modo di sfuggire il proprio io. Perché soltanto dove quest’ultimo non viene sfuggita è la fraternità.

L’associarsi, come fatto esteriore, è già un moto di fuga dallo spirito da cui sorge. Dallo spirito deve pertanto essere ripercorso perché sia effettivamente il suo movimento. Sia dunque il moto della fraternità da cui muove, non la finzione della fraternità, in cui immediatamente cade, e che per ora è il livello in cui la fraternità sta lottando per sbocciare nel mondo.

Nereo Villa 

(Fonte: Uqbar Love n. 166)

1 commento:

  1. Buonasera, ma queste parole non sono di Massimo Scaligero? Si veda l'appendice al di lui libro "L'amore immortale"...

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