Presentazione



In movimento per ecologie, vivere insieme, economia sostenibile, bioregionalismo, esperienza del se' (personal development).

venerdì 20 novembre 2015

Lavoro - Lo stress che non va detto...



Sullo stress lavoro-correlato in Italia c’è un evidente paradosso. Il fenomeno è in rapida diffusione (come dimostra l’essere stato il tema della campagna europea 2014-2015 di Eu-Osha), nei paesi europei si stima che il 25-30 per cento di lavoratori siano esposti a elevato “rischio organizzativo”. Negli ultimi anni in Italia abbiamo assistito al peggioramento delle condizioni contrattuali (con blocco del turn-over nella pubblica amministrazione), all’aumento della precarietà, all’allungamento degli orari di lavoro, alla criticità gestionale di alcuni diritti (come malattia e maternità), all’incremento degli indicatori di malessere (come fumo, alcol, psicofarmaci, suicidi).

Eppure, malgrado queste “premesse”, i primi risultati delle indagini e delle valutazioni dei rischi sullo stress lavoro-correlato (2010-2014) non rispecchiano gli esiti degli altri paesi europei. In Italia vi è frequentemente un anacronistico e tranquillizzante “semaforo verde”, questo anche nei settori notoriamente più critici (come sanità, scuola, trasporti, commercio) o in periodi difficili come le ristrutturazioni aziendali. E c’è di più: le patologie legate allo stress da lavoro (segnalate e denunciate ) sono in Italia in numero nettamente inferiore a tutti i dati europei e mondiali, malgrado siano assodati gli effetti.

Quali sono le cause di questo paradosso? La limitata valutazione del rischio stress e le “mancate” valutazioni (pur dovute ai sensi dell’articolo 28 del decreto legislativo 81/2008) possono essere in parte spiegate con l’atteggiamento difensivistico e formalistico, da mero adempimento burocratico, del mondo imprenditoriale, che non ha colto l’occasione culturale di rivisitare, nella partecipazione, la propria organizzazione, andando verso un benessere o almeno un miglioramento delle condizioni di lavoro. Le aziende hanno messo un po’ la testa sotto la sabbia, producendo non analisi e soluzioni condivise ai problemi bensì costosi e anonimi tomi di carta.

I benefici derivanti dalla gestione dei rischi psicosociali superano ampiamente i costi di implementazione per le imprese di qualsiasi dimensione, ma questo messaggio non è stato valorizzato culturalmente. Ci hanno creduto soltanto pochi dirigenti e datori di lavoro, che pure avrebbero trovato ampio supporto nella partecipazione dei lavoratori e dei medici competenti. Il mondo dei professionisti sanitari è rimasto invece defilato, pur ascoltando e verificando quotidianamente lo stato d’animo e il malessere di  molti lavoratori. Anche il mondo sindacale e delle rappresentanze ha qualche responsabilità, non avendo sostenuto in modo continuo la rete degli Rls e non promuovendo in modo esteso confronti di comparto e di settore.

Tra le altre cause vanno evidenziate la limitata adozione dell’Accordo quadro europeo sullo stress, il frequente affidamento della valutazione a esterni (con scarsa valorizzazione delle competenze e conoscenze interne all’impresa), la mancata valorizzazione e lo scarso coinvolgimento di lavoratori e medici competenti, la maggiore attenzione che viene data nelle valutazioni alla safety (attrezzature, impianti, dispositivi di protezione) rispetto alla security (ruoli, benessere, organizzazione), la sottostima delle patologie professionali.

Lalla Bodini

Nessun commento:

Posta un commento