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venerdì 16 dicembre 2011

La Valle di Kathmandu.

Instancabile Oscar Salvador, il corrispondente dall'Asia per il progetto Viverealtrimenti ci racconta, con ricchi dettagli, la Valle di Kathmandu, in Nepal:

La Valle di Kathmandu è un luogo estremamente interessante da numerosi punti di vista: naturalistico, storico, culturale, artistico e religioso.
Collocata geograficamente in mezzo alle verdissime colline pre-himalayane, ad un’altitudine di circa 1.300 m.l.m., seppur vittima di un sempre crescente sovrappopolamento, la Valle offre ancora numerose aree verdi coperte dai campi e da una lussureggiante vegetazione.
Anticamente infatti la zona era un enorme lago che si prosciugò improvvisamente a causa di movimenti sismici che crearono una spaccatura a sud, chiamata oggi Gola di Chobar, dalla quale defluì l’acqua, che lasciò dietro di sé terreni incredibilmente fertili.
In realtà, le foreste vere e proprie sono ormai pressoché sparite dalla pianura, ma occupano ancora, più o meno indisturbate, le colline che fanno da contorno, e grazie a questo, nella Valle sono presenti numerosissime specie di piante, fiori, uccelli e insetti.
A fare da cornice, verso nord, si estende la meravigliosa catena himalayana con le sue altissime cime innevate, osservabili, durante le giornate serene, da molti punti della Valle, tra cui panoramicissimi villaggi (come Nagarkot e Dhhulikel) situati sulle colline nella zona orientale.
Dal punto di vista storico, la Valle di Kathmandu è sempre stata il fulcro della politica nepalese, visto che al suo interno si trovano le tre più importanti città del Nepal: Kathmandu, Patan e Bakhtapur.
Per lunghi anni questi nuclei urbani furono regni indipendenti, finché intorno al 1300 tutta la Valle fu sottomessa dalla dinastia Mallia di Kathmandu.
Questo però non segno la fine della frammentazione della Valle, poiché la dinastia si divise e nello stesso momento più di un re Mallia governava sulle tre città.
Bisognò quindi aspettare ancora quasi cinquecento anni (1768) prima che la Valle venisse riunificata, ad opera però di una dinastia proveniente da fuori, precisamente dagli Shah di Gorkha (città situata a ovest, a circa metà strada tra Kathmandu e Pokhara).
Data la posizione alquanto remota, una sua caratteristica storica peculiare è che non fu mai assoggettata da stranieri, ne’ dai mussulmani, ne’ dagli inglesi.
I mussulmani governarono il nord dell’India per quasi 500 anni, ma in Nepal si limitarono a sporadiche scorribande, grazie anche a tatticissimi matrimoni di convenienze tra principi nepalesi e mussulmani, come testimoniato ampiamente dal nome stesso della dinastia governante: Shah.
E neppure gli inglesi governarono mai sul Nepal, seppur le battaglie combattute tra le due parti li abbiano sempre visti uscire vittoriosi, ma data la posizione remota e la limitata presenza di risorse (almeno in confronto all’India) non ne hanno mai fatto una propria colonia, seppur ne abbiano limitato chiaramente le mire espansionistiche.
Bisogna ricordare che in passato il Nepal era molto più esteso dell’attuale territorio, arrivando a comprendere tutta l’area che va dal Kashmir fino al Bhutan, e a sud fin quasi alle rive del Gange.
Più recentemente, nel 1846, la dinastia Shah subì una strana congiura, fondamentalmente un’enorme e intricato complotto di palazzo che vide l’uccisione dei un gran numero di nobili, e portò al potere un giovane spietato quanto ambizioso, tal Jung Bahadur, che cambiò il nome della dinastia nel più prestigioso Rana e isolò completamente il paese per circa un centinaio di anni.
Fino a che i cambiamenti politici che interessavano le zone circostanti non giunsero nella Valle, istigando il vecchio Re Shah Tribhuvan a rovesciare la dinastia Rana e costringere gli inoperosi e scialacquatori regnanti a fuggire dal paese.
Infine, quando il Nepal sembrava iniziare un lento ma progressivo sviluppo, il misterioso e ormai noto massacro al Palazzo Reale, nel Giugno 2001, diede via ad una lunga serie di drammatici sconvolgimenti politici terminati in questi anni con la fine della Monarchia e l’instaurazione della Repubblica.
Da un punto di vista culturale, la Valle è abitata prevalentemente dall’etnia newari, di maggiorranza indù, ma sono presenti anche altre etnie tipiche delle colline nepalesi (come i tamang), e circa il 15% della popolazione è buddista, sebbene bisogna notare come la differenza tra le due religioni, in Nepal, sia spesso quasi impercettibile.
La posizione geografica, infatti, ne ha fatto da sempre il crocevia tra queste due culture molto esuberanti: l’induista dell’India a sud e quella buddista del Tibet a nord.
Quella nepalese, e in particolare nella Valle di Kathmandu, risulta essere quindi un perfetto sincretismo delle due che fungono da base e ispirazione per una cultura particolarmente viva e originale.
Nonostante, come abbiamo visto, una storia alquanto drammatica e travagliata, la varietà culturale ha influito positivamente sulla produzione artistica
In realtà anche la frammentazione politica si è rivelata essere un grande incentivo, in quanto i regnanti delle tre città della Valle, spesso hanno trasferito la loro rivalità nella costruzione di meravigliosi templi e luoghi di culto.
Nel frattempo i comuni nepalesi purtroppo vivevano miseramente, e i finanziameni utilizzati per queste opere d’arte sarebbero stati utilizzati meglio per migliorare la loro condizione, però bisogna notare l’interessante soluzione di risolvere i conflitti non sul campo di battaglia, ma a colpi di martello e scalpello.
Fu così che le piazze dove si affacciavano i Palazzi Reali (le oggigiorno famose Durbar Square), si riempirono letteralmente di bellissimi templi che sembrano ancora oggi esibirsi narcisisticamente nell’attirare lo sguardo ammirato dei passanti.
I templi indù sono in genere ottimi esempi dell’architettura e della scultura nepalese, mentre i monasteri buddisti offrono i migliori esempi di pittura; per quanto riguarda invece la musica, data la semplicità degli strumenti (caratteristico del Nepal è il sarangi, una specie di rustico violino di legno a quattro corde) e delle musiche (sia quella devozionale indù, sia quella buddista, ma anche la musica popolare), non ha invece mai prodotto particolari opere o artisti, seppur sia in generale piuttosto piacevole.
Venendo al dettaglio dell’architettura, lo stile caratteristico dei templi nepalesi è quello a pagoda, tipico asiatico, con la struttura principale, quadrata o rettangolare, in mattoni e i tetti in legno costruiti gli uni sugli altri da un minimo di uno fino a ben 5, come dimostrato per esempio dal sublime Tempio di Lakshmi Narayan a Bhaktapur.
Le travi dei tetti, essendo di lavorabilissimo legno, sono sempre molto decorate, con sculture rappresentanti divinità e demoni sulle assi principali, ma anche piccole scene erotiche, spesso al limite di una giocosa pornografia.
Meritano inoltre una citazione i torana, pannelli di metallo (oro, bronzo e ottone) a forma di semicerchio rovesciato, riccamente lavorati, che si trovano sopra le entrate dei templi.
Se quindi le costruzioni che ospitano le divinità sono così finemente decorate, altrettanta cura e maestria viene riservata alla creazione delle divinità stesse: ci riferiamo alla scultura.
Caratteristica di tutti i templi indù è quella di aver collocato, di fronte all’entrata, una figura che rappresenta il veicolo della divinità custodita all’interno; si tratta, nella maggior parte dei casi, del toro Nandi, davanti ai templi di Shiva; di Garuda (creatura metà uomo, metà uccello) davanti ai templi di Vishnu; e di Apu il topo, davanti ai templi dedicati a Ganesha.
Spesso davanti ai templi nepalesi, sono presenti più di una scultura rappresentante il veicolo della divinità, e questo permette di confrontare stili diversi: le statue di Garuda, in particolare, sono molto varie, e si passa dalle semplici sculture in pietra che lo raffigurano come una creatura dalle sembianze umane, col naso leggermente aquilino e le ali dietro alla schiena, inginocchiato con le mani giunte al petto, a più elaborate sculture in metallo dove viene rappresentato molto più simile ad un uccello, ricordando le raffigurazioni indonesiane di Bali.
Molte sculture di divinità sono così importanti da un punto di vista religioso, che sono considerate in sé stesse templi, senza che gli sia stata costruita attorno nessuna struttura particolare: ottimi esempi sono i tre Vishnu dormienti, scolpiti magistralmente durante l’era licchavi nel VII o VIII secolo, conservati uno a Budhanilkanta (il più bello e sacro dei tre), uno nei giardini di Balaju (il più piccolo, meno sacro, ma forse più antico) ed infine uno conservato dentro al Palazzo Reale di Kathmandu, ad uso del Re.
Nella Durbar Square di Kathmandu si può notare anche un grande e colorato bassorilievo dell’aspetto terrifico di Shiva Bhairab, al quale i pellegrini porgono continuamente offerte; mentre a sud della Valle, il sanguinoso “tempio” di Dakshinkali è costituito da un bassorilievo protetto da un grande baldacchino.
La cultura buddista, da un punto di vista architettonico e scultoreo, offre invece esempi ben più sobri, con i grandi Stupa rotondi, o i piccoli chorten (santuari quadrati, sormontati da piccoli stupa), ma trova la sua massima espressione nella pittura, sia all’esterno che all’interno dei coloratissimi monasteri.
I monasteri buddisti, detti Gompa, concentrati in alcune aree, ma riscontrabili un po’ ovunque, oltre ad essere anche loro ospitati in decorate costruzioni, offrono il meglio di sé nella pittura delle pareti interne, dove viene rappresentata la multicolore mitologia buddista.
Il miglior esempio è a Patan, dove, tra i vicoli a nord della Durbar Square, si trova il cosiddetto Tempio d’Oro, probabilmente il monastero buddista più bello e interessante della Valle: non molto grande, ma ricco di dettagli, sia nel cortile che all’interno, offre probabilmente una delle atmosfere più intensamente tibetane della Valle.
Altra caratteristica della pittura buddisto-tibetana, è la creazione di coloratissimi mandala (diagrammi rappresentanti il cosmo secondo la dottrina buddista) sia su muri, che su stoffe e tele: i famosi thangka sono infatti delle striscie di stoffa dove vengono dipinti, o ricamati, elaborati disegni o scritte, e quindi appesi ai muri
L’attiva partecipazione popolare alla vita religiosa della Valle di Kathmandu, è quindi rappresentata dai numerosi templi e luoghi di culto vari, che ne costellano letteralmente tutto il territorio, ma un’altro aspetto molto importante sono le festività, che a loro volta costellano letteralmente il calendario nepalese.
Le tre Durbar Square principali (Kathmandu, Patan e Bhaktapur), piene come sono di templi dedicati a diverse divinità, fungono spesso da fulcro di feste che durano anche dieci-quindici giorni, durante i quali vengono eseguiti numerosi rituali (non ultimi sacrifici animali), per placare le ire, o favorirsi le grazie, della divinità di turno.
La festività più importante del Nepal è sicuramente Dasain (o Durga Pooja), che cade generalmente in Ottobre, e durante la quale i templi dedicati alle divinità terrifiche femminili, principalmente Durga e Kali o loro rappresentazioni, vengono letteralmente lavati dal sangue dei sacrici di polli, montoni e bufali.
La più spettacolare, e meno macabra, manifestazione religiosa è forse quella di Patan dedicata a Rato Machendranath, e durante la quale la statua della divinità viene portata in processione su di un pericolante carro di legno, a forma di tempio, alto circa 20 metri.
Oltre all’entusiasmo trainante della folla, bisogna notare la fatica immane dei portatori, e le difficoltà tecniche di tale operazione, che avviene tra stretti vicoli intasati di gente e di pericolosi fili elettrici; senza contare che eventuali incidenti al carro di Machendranath siano visti come terribili segni di cattivo presagio.
Anche a Bhaktapur vi è una festa dei carri particolarmente movimentata, ma date le caratteristiche della città, di gran lunga meno claustrofobica di Patan, e all’accorgimento di costruire delle specie di rotaie sulle quali far scorrere i carri, rende il tutto leggermente più semplice e in genere esente da incidenti.
Da notare come queste ultime festività sono in onore di divinità venerate sia dagli indù che dai buddisti, per cui entrambe le comunità partecipano assieme gioiose.
Stesso discorso vale per il Capodanno, festeggiato in Nepal per ben tre volte: l’ateo, ma allegro Capodanno “occidentale” il 31 di Dicembre, il coloratissimo Capodanno buddista, chiamato Lohar, durante la prima luna nuova di Febbraio, nonché il Capodanno induista compreso tra i lunghissimi festeggiamenti di Diwali a Ottobre-Novembre.
Durante i (rari) giorni in cui non ci sono feste, i luoghi principali di culto sono Pashupatinath per l’induismo e Bodhnath per il buddismo.
Pashupatinath è il nome di Shiva nel suo aspetto più sereno e pacifico di Signore degli Animali (dal sanscrito pashu, animale e nath, signore) e a lui è dedicato il tempio più importante di tutto il Nepal: il famoso e omonimo tempio di Pashupatinath, situato non molto lontano dall’aereoporto internazionale, sulle rive di un piccolo fiume sacro.
L’ingresso all’interno del tempio è proibito ai non indù, ma è possibile osservarlo tranquillamente sia dall’entrata, che da ampie scalinate situate dall’altra parte del rio.
La costruzione in sè risulta piuttosto tarchiata, ma le facciate sono ricoperte di graziosissimi intagli e decorazioni che l’abbelliscono notevolmente; senza contare che, una volta tanto, si può ben dire che “è tutto oro quello che luccica”, cioè il portale d’ingresso, la porta del tempio, il torana sopra di esso, il tetto, mentre per l’enorme toro Nandi si suppone sia solo il colore della pittura che ricopre la statua.
Data la sua storica importanza, il tempio ha dato il nome a tutta la zona circostante, che si è sviluppata lungo il sacro fiume Bagmati, sulle rive del quale sono ospitati numerosi templi, monasteri e un sempre attivo campo crematorio, e una collina alle spalle del piccolo corso d’acqua, dove si trovano altri complessi religiosi.
Con un po’ di attenzione è quindi possibile notare, in uno spazio decisamente ristretto, un’ampia gamma dei rituali induisti, dalle semplici ma sentite offerte dei praticanti comuni, alle elaborate cerimonie delle persone importanti, senza escludere chiaramente battesimi, matrimoni e funerali; mentre durante le numeroso feste del calendario indù (soprattutto Shivaratri, la notte di Shiva, verso Febbraio), il posto è letteralmente preso d’assalto da migliaia di fedeli.
Il lato del fiume al di sotto del tempio principale è aidibito alle cremazioni: la zona a nord dei due suggestivi ponti in pietra, è riservata ai nobili e alle personalità pubbliche, mentre l’altro lato ai nepalesi comuni.
Proseguendo verso sud, oltre i ghat crematori, dopo aver superato una deliziosa statua semi-interrata del Buddha del VII secolo, all’interno di un muro di pietra, si trova un piccolo complesso di templi molto artistici e noti per le sculture erotiche che adornano le travi dei tetti: questo a causa di un forte retaggio tantrico, che pare in passato sia stato anche causa di sacrifici umani.
Superato il fiume, di fronte al tempio di Pashupatinath, si apre un’ampia gradinata, che occupa la base della collina, sormontata da undici santuari identici che conservano lingam (rappresentanti Shiva) e dalla quale si ha un’ottima vista del tempio principale e delle attività quasi frenetiche dei pellegrini nel cortile dello stesso.
Verso sud, altre ampie scalinate, che sorgono sotto alcuni monasteri e ostelli, offrono invece la vista delle cremazioni delle persone comuni, che avvengono sull’altra sponda.
Proprio di fronte ai due piccoli ponti che collegano le due rive, inizia una e comoda scalinata in pietra che porta in cima alla collina, dove si trova una delle più alte concentrazioni di edifici religiosi di tutta la Valle, seppur non abbiano una particolare importanza, almeno rispetto ai più venerati templi lungo il fiume.
Appena arrivati in cima, sulla sinistra, protetto da un muro di pietra, si trova un complesso di templi vishnuiti, mentre sulla destra, si apre uno spiazzo dove trovano posto lunghe file di santuari molto simili, che ospitano quasi tutti dei semplici Shiva lingam.
Proseguendo si raggiunge un altro spiazzo delimitato da templi, piuttosto belli, ma quasi disuso, e dal quale inizia un’altra scalinata che scende l’altro lato della collina.
In fondo, sulle rive del fiume che delimita l’area sacra, chiaramente trovano posto altri tempi, tra cui il più defilato tempio di Ghuyeshwari (uno dei templi di Kali più importanti del Nepal) e alcuni ghat (gradini sul fiume) utilizzati per lavare i panni.
Da questo punto, proseguendo per poco più di un chilometro lungo una piccola e sporca ma tranquilla strada secondaria, si giunge a Bodhnath, il luogo di culto buddista più importante della Valle.
A onor di cronaca, anche nei pressi della collina che ospita l’importante e panoramico Stupa di Swayambunath, vi è un’attiva comunità religiosa buddista, ma storicamente è il meraviglioso Stupa di Bodhnath a essere il fulcro nevralgico della cultura buddista-tibetana nella Valle.
La priorità gli è data infatti dalla posizione, considerata per secoli il punto di partenza per i difficili viaggi verso Lhasa, e chiaramente il punto di arrivo per gli altrettanto difficili viaggi nella direzione opposta: è qui infatti, che venivano effettuati gli ultimi rituali protettivi in partenza, nonché quelli di ringraziamento in arrivo.
Il gigantesco Stupa di Bodhnath, che dà il nome a tutto il quartiere limitrofo, popolato prevalentemente da buddisti tibetani, si trova in mezzo a un’area di congestionatissimi vicoli, e occupa quasi del tutto una piazza delimitata da negozi di souvenir tibetani di tutti i tipi.
Nonostante questo, l’atmosfera, al di fuori della tarda mattinata e il primo pomeriggio quando la zona è invasa da turisti stranieri, è molto piacevole, con anziani signori e signore che, vestiti in maniera tradizionale, girano intorno allo stupa ripetendo i mantra e roteando le loro piccole ruote della preghiera, come usciti da un racconto di Marco Polo.
Altra caratteristica di questo stupa è la possibilità di salirvi sopra, chiaramente senza scarpe e girando in senso orario, per godere di una meravigliosa, quasi mistica, atmosfera, e il panorama, che spazia dal disordinato agglomerato urbano, alle ordinatissime cime innevate delle montagne.
Nel trafficato ma suggestivo complesso di vicoli attorno allo stupa, si possono notare, oltre agli onnipresenti negozi di souvenir, numerosi semplici ristorantini, che servono prevalentemente zuppe tibetane e momo (raviolini al vapore), nonché alcuni interessanti Gompa.
In genere la parte visitabile dei monasteri è lo stanzone centrale che viene utilizzato per le preghiere pubbliche: al centro, sulla parete opposta all’entrata, si trova la statua centrale del Buddha, quasi sempre fiancheggiata da numerose statue più piccole, insieme a fiori, incensi e vari attrezzi utilizzati durante i complessi rituali.
I muri interni sono coperti da dipinti coloratissimi, rappresentanti la mitologia buddista o episodi della vita del Buddha, in un trionfo di colori vivaci, profumo d’incenso e spesso un’ipnotica quanto suggestiva musica di sottofondo.

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