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lunedì 21 agosto 2017

Pasticcerie scomparse e telefonini sempre accesi


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Uno dei miei ricordi d’infanzia è il gelato automatico della pasticceria Giglio in piazza Gramsci. Pasticceria storica, fondata nel 1956, che ancora resiste. Avrò avuto dodici anni la prima volta che ho sorbito quel gelato senza sapore che nel ricordo conserva mille sapori; niente a che vedere con il gelato artigianale del Pellegrini, l’automatico del Giglio era la cosa più industriale che si potesse immaginare, un gelato che scendeva rumoreggiando da un tubo meccanico, arricciolandosi grazie a un infernale macchinario simile a un robot. 

Gelato da fantascienza, crema e cioccolato gusti unici, ma a noi piaceva, era una sorta di gelato americano, molto tecnologico, ci faceva sentire come il primo uomo che da poco aveva messo piede sulla luna. Era un gelato moderno, economico, insipido ma intrepido, alla conquista del futuro. Niente palette di ferro e vaschette, solo un robot che dispensava gelato. 

Si va all’automatico? faceva parte del linguaggio di noi bambini anni Settanta, pure se con gli adulti diventata un anonimo andiamo alla pasticceria Giglio a prendere il gelato?. Non era la stessa cosa. I vecchi non capivano. Bisognava tradurre. Sì, proprio come oggi con i discorsi infarciti di tipo e piuttosto che, oppure di Ah, okay e pollici dritti, virgolette disegnate per aria e via col tango, con la differenza che oggi imparano anche i vecchi, ed è tristissimo vedere tanta uniformità di linguaggio. 

Ma l’argomento principale erano le pasticcerie, mi pare. Negli anni Settanta se ne contavano addirittura tre, tra corso Italia e piazza Gramsci: Pastori, Gioia e Giglio. Ma non bastava, c’erano pure il Biondi in Città Nuova, l’Amanti sotto i Portici e Romano in Città Vecchia, prima via Buozzi, quindi via Cellini, nei locali ristrutturati del mitico Vincitori, dove un tempo vendevano frutta, verdura e latte fresco. Negli anni Settanta c’era ancora la moda borghese di vestire bene la domenica e di portare le paste a casa dei futuri suoceri o dai genitori. Abitudini estinte, credo. Di sicuro si sono estinte le pasticcerie, ché resiste solo il Giglio in centro, chissà fino a quando, sopravvivono Biondi e Amanti, Nonno Gigi a Salivoli, erede del vecchio Magic Moment. Poco altro, credo, poi non è che siamo qui a fare il conto del catasto, stiamo scrivendo un racconto, dimenticarne una può capitare. 

Prosperano, invece, i negozi di telefonini, le rivendite di accessori telefonici e schede, le slot-machine, i Bingo Bar, i centri di tatuaggi, insomma diversi luoghi dove con modica spesa puoi dimenticarti di possedere un cervello. Negozi che incitano la cafoneria dilagante, sponsor di utenti che parlano a voce alta per strada sbraitando in un congegno elettronico, di individui che vivono on-line anche quando guidano, che non rivolgono parola a nessuno ma giocano con lo scrigno magico, che serve a tutto, dalle previsioni del tempo alle ultime notizie, passando per ricette mediche e farmaci taroccati a basso costo. 

E allora teniamoci telefoni che squillano acca ventiquattro - per usare un altro modo assurdo di parlare - nei luoghi più impensati. Teniamoci telefonini irritanti e tatuaggi cafoni che soppiantano pasticcini borghesi e cravatte eleganti. I tempi cambiano, gli stili si modificano, chiudono pasticcerie, non si trovano sarti, ma tutti siamo connessi, tutti siamo rintracciabili, in ogni istante della nostra vita. Per fare cosa, poi? Ah, saperlo…

Gordiano Lupi

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