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sabato 19 settembre 2015

Festival della Filosofia - "Il mito dell''eterna giovinezza ed il crollo..."



Questo week end a Modena, Carpi e Sassuolo ci sono vari incontri che fanno parte della manifestazione, il Festival della Filosofia,  che ormai ormai già da qualche anno riempie piazze e città modenesi. Anch'io spesso ci sono andata ed anche quest'anno mi ci sono avvicinata, timorosa e solitaria.Il tema di quest'anno è "Ereditare". Le mie amiche modenesi propendevano per altri autori. 

Si, perché alla fine, stamattina, 20 settembre 2015, mi sono decisa quasi all'ultimo momento ad andare ad ascoltare Gustavo Zagrebelsky. Non sono un'appassionata di filosofia, se non ha agganci con la vita di tutti i giorni. Questo giurista l'ho conosciuto, quando il suo nome venne fatto in occasione della penultima elezione del Presidente della Repubblica e proprio quell'anno lo andai a sentire per la prima volta ad un'altra edizione del Festival.


All'inizio sembrava che tutto andasse storto: avevo fatto tardi, mi ero scordata un blocchetto per gli appunti, avevo lasciato il cellulare in bella vista in auto al parcheggio, così sono arrivata trafelata in Piazza Grande. In realtà avevo sbagliato orario e così, anche se la piazza era strapiena e le sedie tutte occupate, mancava più di mezz'ora all'inizio della conferenza, così sono andata al banchetto informazioni, ho comprato un blocchetto per gli appunti, ho preso un programma generale così potrò leggere bene gli orari dei prossimi appuntamenti e sono tornata all'auto a prendere il telefono. Volevo sentire se l'amica Mara mi avrebbe raggiunto e così ne ho approfittato per fare una sgambata.

Al ritorno ho cercato un improbabile posto a sedere, anche per terra, ma niente, ed infine mi sono piazzata proprio davanti al palco, un po' di lato, così potevo stare appoggiata ad una transenna. Sempre meglio che niente. Una giornalista (credo) lo ha presentato, citando gli ultimi libri dai titoli significativi: "Contro la dittatura del presente" e "La maschera democratica dell'oligarchia".

Ha espresso lo stupore di vedere quanta gente era presente a questi incontri che stimolano la riflessione. Ma anche la riflessione può essere un piacere. Poi una folata di vento gli ha portato via tutti i fogli, scherzando ha detto che sono "compiti di alcuni suoi studenti che deve correggere e che non sarebbe stato carino dire a quegli studenti che devono rifare l'esame perché lui li ha persi".

Dice che viviamo nel periodo dell'elogio del giovanilismo e della velocità. Spesso i vecchi si sentono fuori luogo. Il vecchio diventa quello che non sa. I giovani non concedono requie: c'è una corsa costante ad uno sviluppo e ad una produttività, per cui bisogna allungare il passo, ma la meta si allontana sempre di più. I vecchi sono lenti e pigri. Lui stesso fu definito "gufo pigro".

Ma da un lato emarginazione, rinuncia e senso di fallimento e accelerazione dall'altro, sono entrambi aspetti negativi.

I vecchi lenti, ma con cultura ed esperienza, non possono accampare diritti, pur se siamo nell'epoca dei "diritti umani", che dovrebbero essere di tutte le età.

In certe culture, quando, come oggi, c'era un aumento delle necessità, chi era un peso veniva eliminato. Alcune tribù denudavano i vecchi e li cospargevano di miele lasciandoli all'aperto tutta la notte in pasto alle termiti, in altre culture se li mangiavano proprio (Erodoto). Michela Murgia in Abbacadore descrive una pratica che era in uso in alcune zone della Sardegna, dove chi era di peso e a fine vita veniva soppresso. In alcune zone del Giappone, quando non si aveva più convenienza a mantenere un vecchio gli si chiedeva di votarsi alla morte. Per il futuro si potrebbero prevedere test di efficienza, come un'abilitazione all'esistenza.

Racconta poi la storia dell'Isola di Pasqua, che dimostra che la crescita è una miccia a fuoco lento. Fu scoperta dagli europei nel 1722. Possiede centinaia di megaliti giganteschi con in cima cilindri colorati in rosso. Sembra che alla fine del primo millennio fosse una terra molto fiorente, ricca di risorse naturali, acqua, foreste, uccelli, pesci, altri animali. Quando vi arrivarono gli europei trovarono una terra desolata, con pochi individui geneticamente tarati. La società aveva distrutto il proprio futuro, con le foreste che fornivano il legno per le barche e a difesa dalle tempeste. Ci furono guerre tra i clan che sfociarono anche nell'antropofagia. O tronchi umani di pietra diventavano sempre più imponenti. Il più alto fu l'ultimo ad essere costruito. Erano un simbolo di potenza, ma per scavarli, trasportarli ed issarli occorrevano alberi e fibre vegetali. Da qui la deforestazione. Alla fine gli umani volevano andarsene, ma non c'erano più alberi per costruire le barche.

Il  parallelismo tra quanto avvenuto nell'Isola di Pasqua ed il mondo moderno è agghiacciante. Le risorse di tutto il mondo ormai sono minacciate e non potremo cercare soccorso altrove. nel futuro prossimo si decide il destino dell'umanità. Utilizziamo sempre più risorse, sterminiamo specie e distruggiamo habitat. Si è detto che entro il 2050 si deciderà il destino del mondo. Per soddisfare le manie di grandezza di oggi, non si sono considerate le necessità del domani. Si è agito come se quella attuale fosse l'ultima generazione. La posta in gioco è l'integrità della specie umana.Il mondo è preda di un furto: furto di risorse naturali, di fonti energetiche, di risorse finanziarie, furto di materiale genetico (riduzione della biodiversità). Si cerca di tendere all'immortalità dell'uomo, che è la massima maledizione, se si pensasse di essere immortali si rimanderebbe sempre al domani quel che si può fare oggi, la vita si ridurrebbe a mera esistenza.

Il mondo è una polveriera.

Jacques-Yves Cousteau ha proposto una Carta dei diritti delle generazioni future; partendo da quello che lui aveva visto in quanto a depauperamento degli oceani, ecc. per la cieca convenienza immediata. I diritti dei futuri sono i doveri dei presenti. Per secoli i figli si sono considerati debitori dei padri, oggi sono i padri che devono sentirsi debitori dei figli. La felicità degli attuali non può essere a scapito di quella dei futuri. Bisogna ricordare certi detti "Ama il prossimo tuo come te stesso" e "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te".

Ma c'è un problema giuridico: il diritto soggettivo presuppone un soggetto presente. Il male inferto ai futuri non presuppone un leso diritto da parte dei presenti (giuridicamente). Però c'è un dovere morale dei presenti nei confronti dei futuri. 

Simone Veil aveva scritto Il radicamento. Preludio a una dichiarazione di doveri nei confronti degli esseri umani, una dichiarazione universale della responsabilità. Ma quanto è importante il potere decisionale di giovani e meno giovani? Si dice spesso: i giovani hanno in mano il futuro, lasciamo decidere a loro. 

Ma c'è un problema di responsabilità, come diceva Weber, c'è una responsabilità delle convinzioni (etica delle convinzioni) ed una responsabilità o etica delle conseguenze. Per i giovani è più congeniale la prima ("sono convinto di un'idea e la porto avanti"), per i vecchi lo è la seconda.... quella delle conseguenze, con la loro esperienza ne hanno viste tante. in più hanno figli e nipoti e se ne preoccupano, i giovani no. 

Vittorio Foa, grande vecchio disse: "Non è vero che i vecchi abbiano la conoscenza e l'esperienza, anche i giovani ce l'hanno, solo sono diversi e l'una può essere utile all'altra".

Ma quante età ci sono? Si parla di terza età (giovinezza, maturità, vecchiaia). Secondo la filosofia indù sono 4: l'età in cui si impara, l'età in cui si insegna, l'età in cui si va nella foresta e l'età in cui si vive di elemosina. Lui ritiene di essere nella terza di queste età. Ma le età di questo mondo, del nostro mondo occidentale sono ormai due: un'eterna giovinezza e il crollo.

Ce n'è abbastanza per riflettere, direi!

Caterina Regazzi

1 commento:

  1. Integrazione dell'autrice Caterina Regazzi: “Di ritorno dal festival della filosofia, dato che erano quasi le 14 ed in casa non avevo niente di pronto, ho pensato di andare a provare la cucina della rosticceria cingalese di Spilamberto (Sapori dello Sri Lanka). E' aperta già da un po' ma non c'ero ancora stata. Il titolare ha una faccia molto simpatica e tempo fa mi aveva fatto anche la richiesta di amicizia su FB. Sono entrata e gli ho chiesto se si poteva ancora mangiare qualcosa, un riso con verdure. Lui mi fa "Un riso vegano!". Ok per il vegano, con patate, lenticchie, fagiolini e anacardi. Mi sono seduta ad un tavolino, di fronte a me un gruppetto di cingalesi, 4 giovanotti, una giovane donna molto carina ed una bambina, pure quella molto carina. Tutti allegri e sorridenti, parlavano concitatamente la loro lingua, mangiavano, con le mani, riso bianco e companatico. bevevano acqua e birra. Io aspettavo con ansia il mio piatto, avevo una gran fame. Erano le 14 passate. Le pareti sono colorate di rosso e verde con un po' di blu. Alle pareti alcuni batik semplici con elefanti e una cartina dello Sri Lanka. Quando il cibo è arrivato mi ci sono buttata.... com'era buono! Speziato e piccante al punto giusto, ogni cibo col suo sapore, leggero e niente unto e fresco! Ci tornerò senz'altro!”

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