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domenica 25 settembre 2011

D'India ed altri racconti: un nuovo libro per Viverealtrimenti.

Dovrebbe essere presto pronto (il condizionale e' d'obbligo visto che tutto il processo produttivo si sta svolgendo a Benares) un nuovo testo per Vivere altrimenti: D'India ed altri racconti, di Oscar Salvador (nella foto). Di seguito la prefazione. Sarete naturalmente aggiornati sull'esito dell'impresa...

Prefazione

Un giovane nonno genovese, un hippy consumato ed un neo-editore che stampano un libro a Benares


Naturalmente si partiva dal presupposto che bisognava contenere le spese e che gli obiettivi prefissati si sarebbero raggiunti attraversando selve tropicali di incognite…a Benares.
Benares, per me — neo-editore — 6 anni dopo (dalla malaugurata idea di farne una propria casa), nove anni dopo per Oscar, l’autore di questo testo, circa 40 anni dopo per chi ha deciso di assumere le redini dell’impresa: un attempato e tuttavia freschissimo, di spirito, uomo inglese che lavora in una buona libreria della città.
Di primo acchito mi vengono immagini in ordine sparso dei miei sei anni vissuti, buona parte del tempo, a Benares: una scimmia screanzata scappare con un asciugamano in spalla, appena trafugato da un filo steso su di un terrazzo, un’altra masturbarsi sul cornicione di un palazzo irrimediabilmente compromesso dall’umidità subtropicale, un’altra ancora che provocò un contatto camminando su grovigli di fili elettrici, una mattina presto ed il cielo, ancora parzialmentre buio, per un attimo si illuminò a giorno in un boato inverosimile. Io ero su di un rickshaw alla volta di un ashram sul Gange.
«Che succede?» chiesi quasi allarmato al rikshaw wallah di fiducia (facevamo regolarmente colazione insieme, in quei giorni, seduti su di una vecchia panchina in una strada-discarica).
«One monkey!» mi rispose senza scomporsi, continuando a pedalare ed additandomi la scimmia riversa morta sulla via.
Era il mio primo periodo benarese, nel quartiere di Bengali Tola dove visse il famoso paramguru di Paramahamsa Yogananda, Lahiri Mahasaya, noto per la sua allergia alle fotografie. Ogni volta che tentavano di immortalarlo ne ricavavano una “foto di vuoto”. Un giorno decise che poteva fare un’eccezione, si mise in posa e dunque lasciò l’unico ricordo fotografico di sè.
Il secondo periodo benarese si sviluppò ad Assi ghat, in uno spazio che faceva, contemporaneamente, da centro di yoga e da abitazione privata (nei rari momenti in cui mi potevo permettere un po’ di privacy). Fu allora che conobbi, alla Benares Hindu University, Oscar, studente genovese di hindi, più giovane di me di qualche anno. Diventammo presto amici ed un week-end che avevo davvero un bisogno medico di rilassarmi andammo insieme a Vindhyachal, un grande villaggio di cui lui è follemente innamorato e che troverete menzionato in questa raccolta. Ci ritrovammo a stretto contatto con un cadavere in quasi avanzato stato di decomposizione, nel Gange. Ricordo quel che ne restava del viso: una grande vescica molliccia. Dall’orecchio visibile dalla nostra barca uscivano alcuni bigattini e l’odore che si sentiva nelle vicinanze era una sorta di versione olfattiva del concetto di “orrido”.
Mi dovevo rilassare.
Poco dopo, sulla riva, vidi Oscar sgranare gli occhi. Eravamo nuovamente a contatto con la morte, non ci eravamo accorti che, passeggiando poco distanti dal fiume, eravamo finiti in un informale spazio crematorio, disseminato di ossa, qualche teschio…ricordo nitidamente un teschio su di una rimanenza di colonna vertebrale con ancora minime tracce di carne. I denti avevano un colore rosato, riportavano un ricordo oramai completamente slavato di betel. C’era un altro teschio in acqua, le cui leggere increspature sembravano quasi massaggiarlo placidamente. Restammo un po’ di tempo dinanzi a quell’immagine, rapiti in una sorta di imperscrutabile silenzio della mente.
Ci ristorammo poco dopo in un daba (equivalente di una nostra tavola calda) che non aveva bibite fresche ed io sacramentavo perchè dopo quella mattinata ad immagini forti una coca cola gelata ce la saremmo proprio meritata. Oscar obiettava che in India certe pretese non si potevano avere con la mia irresponsabile disinvoltura e finimmo per sacramentarci un po’ addosso.
Mi dovevo rilassare.
Soprattutto mi dovevo dispearatamente rilassare qualche mese dopo quando, trascorso un semestre a Benares, gettai la spugna e decisi di lasciare l’India per starmene un poco in un paese più leggero: la Tailandia. Da Benares presi dunque il primo treno per Calcutta, ritrovandomi in uno scompartimento di odiosi bramini che non mancavano di dare il loro contributo al mio desiderio oramai incontenibile di volare via. A Calcutta Oscar si godeva i suoi piccoli-grandi lussi, muovendosi spaparanzato nei taxi un po’ desolatamente retrò della città. Si era accampato in una delle sue guest-house (le meno schifide tra quelle economiche), con il suo quotidiano, le sue riviste, il suo quaderno del bird-watching, le espressioni materiali delle sue fisse, delle sue amabili nevrosi (guai chi gliele tocca) a non fare, fondamentalmente, un cazzo.
Io ero, al solito, pieno di cose da fare: diedi fiducia ad un’agenzia di Sudder Street e comprai un biglietto per Bangkok di una compagnia aerea bangladesha. Pensai: «perchè essere sempre negativi e temere che ci siano contrattempi; andrà tutto bene!».
Mi arenai per due giorni a Dhaka ma poi mi ritrovai, dolcemente, a Bangkok, con un immediato tassista di fiducia che voleva affidarmi per forza a qualche bordello. Ed io: «cerchiamo di capirci subito, ho vissuto gli ultimi sei mesi a Benares, se c’è qualcuno che dà le “sole” a qualcuno, quello sono io, dunque facciamo che fai quello che ti dico e non tenti di fottermi!». Mi scarrozzò l’intera notte per una manciata di bath.
Tornai a Benares dopo un mese in Tailandia e l’impatto con la città fu semplicemente shockante. Riversavo le mie nevrosi su Oscar che assorbiva meglio di una spugna navigata. Imperturbabile faceva commenti sull’ultimo genere di vento che lambiva le mura della sua guest-house dove la mattina, sulla terrazza, alcuni stranieri si esibivano con le asana yogiche e lui, semplicemente, li detestava con tutto se stesso.
Seguì un periodo di distacco, lui continuò ad andare dentro il suo percorso spirituale, ad approfondire l’aghor sampradaya senza la guida di un guru, a studiare hindi, a partire di tanto in tanto per pellegrinaggi tutti suoi. Io continuavo la mia vita più attiva, prendendomi breacks salutari in Tailandia e Sri Lanka ed “entrando nell’India come in un corpo di donna”, amandola ed odiandola allo stesso tempo, persuaso che Oscar dovesse essere rimpatriato.
Lui, nel frattempo, a margine del suo essere consapevole del tempo atmosferico a Benares (di solito le persone che vivono in questa folle città sono talmente incasinate che non possono proprio permettersi di stare dietro ai venti previsti in arrivo), del periodo in cui, a leggere i giornali, in città ci sarà corrente elettrica 24 ore su 24 (una vera utopia) e di tutte queste “solidità da nonno”, ha scritto racconti su racconti. Io, in questi anni, ho creato la Viverealtrimenti editrice e come non pensare di coinvolgere nell’avventura esistenziale anche Oscar, essendo una delle poche persone con cui, a Benares, non provo un inevitabile, per quanto formativo, senso di “isolamento culturale”?
Lui che nella sua “misoginia” non deve conquistare nessuno e dunque indugia meravigliosamente in casa con le mutande lente (e dovreste vedere la casa…).
Lui che non può non rimandare quel senso di rilassatezza di chi dimostra, quotidianamente, che può fare a meno quasi di tutto, che nella vita non occorra correre nè sbattersi ma che sia sufficiente imparare ad essere.
Abbiamo dunque deciso di lanciarci insieme nella temeraria avventura editoriale, a Benares. Naturalmente ci siamo lanciati ciascuno a suo modo nel senso che il lavoro dell’editore lo debbo fare io e lui fare la sua parte: un piacevole corollario al suo non fare, sostanzialmente, un cazzo come limpida scelta di vita.
Una volta ebbe il coraggio di dirmi: «non sai tutto il lavoro che c’è dietro ad una vita così!». In effetti, a prenderla con la giusta filosofia, essere potrebbe costituire il più impegnativo dei lavori.
Mi sono dunque lanciato, a Benares, alla ricerca di uno stampatore e, in una libreria della città, ho ritrovato Oscar, solo con qualche anno di più e chiaramente anglofono. Con i lunghi capelli diventati oramai bianchi come la barba. In bocca pochi denti superstiti, comunque ammaccati, usurati dalla quotidianità di una città che ha primati, fondamentalmente, negativi (tra cui quello di avere abitanti con le dentature nelle peggiori condizioni, in India).
Si è offerto di seguire il processo produttivo del libro — dall’impaginazione, alla copertina, alla stampa — che in mano alle maestranze indiane avrebbe rappresentato un esotico, a momenti esilarante, calvario. Non mi è sembrato vero: «ottimo, allora procediamo, quanto tempo ci vorrà?», gli ho chiesto prontamente.
«All’incirca un mese», mi diceva, candidamente, lui.
«Come un mese, io devo partire fra tre settimane, questo lavoro in Europa si può fare in massimo una settimana!». E lui, ancora candidamente, snocciolava la selva di incognite in cui stavamo entrando: le macchine per stampare che, ad un certo momento, si sarebbero inevitabilmente rotte, il lavoratore che si sarebbe stancato e, senza preoccuparsi minimamente di finire il lavoro, si sarebbe preso una vacanza e poi…come non considerare le festività religiose? Ottobre è il mese in cui si celebra, con diwali, l’ingresso nella stagione fredda e tra digiuni preparatori, botti, fuochi d’artificio per nottate intere di settimane intere, deliri di aquiloni sul Gange, biscottini di bhang, eccetera…«in breve», mi diceva senza rinunciare al suo candore, «Ottobre non sarebbe quasi da considerarsi un mese lavorativo!». Poi, naturalmente, lo stillicidio quotidiano dei powercuts, imprevisti impensabili, il poter essere risucchiati in uno dei tanti tombini aperti.
Insomma, l’impresa è solo all’inizio, si rivela un great challenge ma naturalmente noi tre non abbiamo nessuna intenzione di mollare. Oscar, soprattutto, è risoluto sulla poppa ad intimarci: si proceda!
Per ora, in attesa che questo libro prenda miracolosamente forma, non posso che chiudere questa prefazione con un’immagine emblematica del nostro essere, io ed Oscar, così simili e così diversi; lui che, non ancora rimpatriato, si ritira in un suo romitaggio e mi scrive una breve lettera la cui conclusione, parafrasando il bellissimo film di Pan Nalin Samsara possa essere: «chissà che non ci incontreremo di nuovo, un giorno, ed allora forse saprai spiegarmi se è più saggio correre dietro ad una miriade di pur nobili desideri o fare come me che, in tutta una vita, ho tentato di realizzarne uno solo!».
Buona lettura!

Manuel Olivares

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