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sabato 20 agosto 2011

Discorso su libero arbitrio e destino... come s'incontrano?

"Statua" Foto di Gustavo Piccinini


Questa che segue è una corrispondenza fra Tullia Parvathi Turazzi, Sara Laurencigh e Paolo D'Arpini sul tema del libero arbitrio e destino....


Lettera di Tullia Parvathi Turazzi:

Caro Paolo,
non credo al libero arbitrio o perlomeno non nel senso comunemente inteso. i grandi Maestri come Sathya Sai Baba o Raphael e altri lo dissero chiaramente il libero arbitrio appartiene totalmente a Dio o ad un essere realizzato nel SE...quindi parlare di scelta..mi fa sorridere.. chi sceglie e cosa? Siamo liberi?? No... solo l'uomo completamente integrato completo e divino è libero. Il karma i condizionamenti e il resto rendono l'essere umano prigioniero di uno schema .. ma vi è la possibilità di elevazione integrazione liberazione... ma solo quando l'essere ha percorso e riempito tutti gli spazi esperienziali possibili. chi sceglie chi agisce... Riguardo inferni e paradisi... sono anch'essi illusori e transitori.. luoghi intermedi post mortem.. transitori e impermanenti anch'essi.. Nulla nella Maya dura per sempre... nemmeno i paradisi e inferni vari, che alla fine vivono solo dentro di noi... fuori una proiezione soltanto... Solo L'IO SONO è eterno.. La mente da cui scaturisce e si proietta tutta la giostra chiamata creazione RESTA... il resto va e viene di era in era di pralaya in pralaya... Attori di una commedia che, abbassato il sipario e fatto un bell'inchino.. se ne torneranno a CASA... chi prima chi dopo.. non credo a perdizioni eterne tuonate dai pulpiti. Credo all'Amore che tutto comprende e che a tutti i suoi frammenti, darà la chance di tornare a Casa.. come ogni Madre degna di questo nome farebbe coi propri figli.. anche col figliol prodigo...e siste solo l'infinita Coscienza eterna e beata.. che ride dei nostri paradisi come dei nostri inferni... Cosi è il mio sentire.. Shanti Om - Tullia

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Commento di Sara Laurencigh:

Sì sì,come dice Tullia non esiste il libero arbitrio... o meglio - secondo me - possiamo sicuramente decidere se andare a Roma piuttosto che a Milano il punto è che a parte la differenza di paesaggio, più o meno bello, le esperienze a livello di messaggi che si devono trasformare in consapevolezza saranno identiche o comunque l'insegnamento se deve arrivare.. arriva, ...se è il momento. Che poi arrivi con una carezza piuttosto che una sberla.. e vabbè dipende da quanto siamo elastici.
Per parlare di libero arbitrio bisognerebbe conoscere il percorso della propria anima e la sua voglia di sbocciare come una rosa.
Quello che voglio dire è che arriva un momento in cui le cose devono accadere per forza, sta a noi ascoltare e metterci nelle condizioni migliori.
Se conosco l'inizio (nel senso di inizio e non di nascita, perchè non è la stessa cosa) e la fine si comprende che l'unica libertà che ha l'essere umano è di decidere consapevolmente di impegnarsi a conoscere Dio.
Sara

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Commento di Paolo D'Arpini

Ramana Maharshi andava persino oltre dicendo che anche le più piccole azioni sono preordinate, aggiungendo che l'unica libertà che abbiamo è quella di rivolgere la mente verso il Sè... Parimenti affermava il santo Sai Baba di Shirdi..

Se vuoi puoi leggere un compendio di testi su questo argomento che ho scritto nel tempo, di cui uno è quello che segue:

Ci si pone una domanda, da dove sorge? Diamo una risposta da dove è venuta?
Ora, ad esempio, son qui che mi interrogo sulla realtà del manifestarsi della nostra vita. Essa è compiuta da un insieme di forze ed elementi congiunti che si combinano secondo loro leggi, o dettami del caso, oppure è il risultato di un agire volontario che cerca in tutti i modi di forgiarne forma e contenuti? Questo investigare è alla base di ogni concettualizzazione ed azione fisica o metafisica… Nel tentativo di capire la natura del nostro pensare ed agire si sono già interrogati gli uomini che ci hanno preceduto e sarà così per quelli a venire…. E la risposta?

Questo testo, ad esempio, che io sto scrivendo e che tu leggi (presupponendo che qualcuno lo legga..) da dove nasce? Le idee in esso contenute come hanno potuto affiorate nella mente, come sono condivise e comprese dall’ipotetico lettore? Il lettore comprende la tematica quindi significa che egualmente si è posto il dilemma… In ogni caso è codesto scritto il risultato di una libera scelta, un elaborato con un intento preciso, derivante da un processo volontario, da una decisione di mettere in atto l’azione del pensare e dello scrivere? O piuttosto è conseguenza di una serie di impulsi auto-generati che si uniscono sino a formulare quest’articolo?

Seguendo un ipotetico processo razionale, di primo acchitto, sarei portato a rispondere che sì, questo scritto è frutto della mia decisione, è il risultato di un mio personale ingegno compositorio che prende questa forma descrittiva, impiegando le figure di un ragionamento filosofico…

No, non ne sono sicuro… Non ne sono sicuro perché “capisco” od intuisco che il mio ragionamento è definibile solo dopo che spontaneamente e senza alcuna intenzione da parte mia è apparso nella mia mente. E’ “apparso” e da dove? Il meccanismo della comparsa dei pensieri è un aspetto sconosciuto ed in conoscibile, essi sorgono da un non si sa dove…. Solo in seguito al loro presentarsi dinnanzi alla nostra coscienza possiamo affermare “ho pensato a questo…”. Insomma facciamo nostri i pensieri dopo che ci son venuti incontro dal nulla, li possediamo come qualsiasi altro oggetto che chiamiamo nostro (pur essendo in realtà della terra)… ed allora il senso del possesso è solo indicazione continuata d’uso, un uso comunque limitato nel tempo e nella qualità del suo godimento… Ogni cosa che definiamo “nostra” o nella quale ci identifichiamo, come “il mio corpo” -ad esempio- o “la mia mente” è in verità nostra solo per una consuetudine di impiego e di presenza. Quando sogniamo siamo avvezzi ad identificarci con uno dei personaggi del sogno e percepiamo questo personaggio come un “me” che si rapporta con altri personaggi operanti in un mondo, tutto il sogno in realtà si presenta davanti alla nostra coscienza e su di esso non abbiamo alcun controllo operativo, anche se, come nello stato di veglia, riteniamo di agire con uno scopo, ottenendo risultati oppure fallendo nell’ottenerli.

Dico “come nella stato di veglia” per inserire una rapida analogia comparativa con la realtà del nostro operare da svegli…. Chiamiamo il nostro agire nel mondo il risultato di un libero arbitrio e ce ne facciamo, di fronte a noi stessi ed agli altri (esattamente come nel sogno), responsabili, accettiamo lo sforzo del tentativo di raggiungere uno scopo, ci sentiamo frustrati se falliamo nel conseguimento, consideriamo che le nostre azioni sono legate ad un processo di causa ed effetto, ci arabattiamo nel cercare di prefigurarci un fine, per poi eventualmente pentirci e cercare il suo contrario.

Le religioni hanno utilizzato questo processo del divenire e dell’instabilità della mente e del desiderio di un risultato (immaginato come stabile e definitivo ma vano) per ordinare la vita di ognuno in termini di “responsabilità diretta” con successivo premio finale in veste d’inferno o di paradiso.

Nel dualismo religioso, sociale, o ideologico, nella separazione dal Tutto, l’unica cosa che si può fare è cercare di ottenere buoni risultati utilizzando la propria volontà, da noi definita libera scelta, illudendoci così di pervenire a qualche esito che ingenuamente definiamo la “risposta” alla nostra ricerca materiale e spirituale. Premio e castigo sono nelle nostre mani… e con questo peso sul groppone “commerciamo” e “speculiamo” con e su Dio –se crediamo il lui- oppure con la Natura e le leggi della giungla –se siamo atei materialisti- oppure facciamo come i superstiziosi che dicono “non è vero … ma ci credo!” finendo un po’ di qua ed un po’ di là della barricata immaginaria, o magari, come spesso avviene alla maggioranza di noi, cercando tout court di dimenticare il problema immergendoci nella soddisfazione delle esigenze e necessità quotidiane.

Ma l’enigma ritorna…. È un qualcosa di sconosciuto ed in conoscibile che torna a perseguitarci… Alla fine diamo la colpa agli Dei ed alla forza del destino! Infatti noi osserviamo per esperienza diretta che alcune cose che abbiamo intenzione di raggiungere ci sfuggono, mentre altre che aborriamo accadono.

“Possiamo definire questa forza che fa accadere ogni cosa Dio oppure “swabava”, che significa l’inerente natura di ognuno – diceva Anasuya Devi quando mi trovavo a Jillellamudi – aggiungendo che “questa forza si manifesta non solo negli eventi naturali e ciclici ma anche nell’inaspettato e persino nel tentativo dell’uomo di controllare l’inaspettato, e persino nel senso di aver noi deciso di compiere un determinata azione o corso di azioni”.

Come dire che questa “forza” assume la forma di compulsione interiore e che noi, facendo nostra la formulazione, definiamo “libera scelta”… Insomma la libera scelta non è altro che lo svolgimento mentale consequenziale allo stimolo interiore ricevuto, il modo banale attraverso il quale quella “forza” o “swabava” ci fa compiere l’azione “volontariamente”.

Ciò non toglie che nel nostro io, almeno quel riflesso mentale della coscienza che definiamo “io”, siamo perfettamente convinti che l’azione compiuta è frutto di una nostra decisione, che il pensiero osservato è nostro proprio, che questo scritto è da me arbitrariamente redatto, che tu stai leggendo di tua propria opzione.

“Ma i frutti del nostro agire non sono permanenti – diceva Ramana Maharshi – ed il rincorrerne i risultati ci rende prigionieri dell’oceano del “karma” (il divenire attraverso l’azione), impedendo la comprensione della vera natura dell’Essere”

Ciò significa che le azioni da noi compiute con uno scopo, e con appropriazione identitaria del compimento, ci portano ad esperimentare piaceri e dolori. Essi sono in verità limitati nel tempo ma lasciano dei semi nella mente, causa di una successiva fatica nell’evitare o perseguire certe azioni. Questi semi (detti in sanscrito “vasana”) ci spingono in una serie apparentemente infinita di coinvolgimenti ed atti, legando la nostra attenzione al mondo esteriore ed impedendo la scoperta della nostra vera natura interiore. Perciò nell’intendimento dato all’azione non può esserci affrancamento dall’io (ego), che è limitato al corpo mente.

Si potrebbe obiettare che se non c’è intendimento nemmeno l’evoluzione è possibile, né il miglioramento della propria condizione…. Eppure accettando la crescita spontanea alla quale la vita spontaneamente tende (come è nei fatti comprenderlo) saremo “liberi” di portare a termine tutte quelle azioni che naturalmente vanno nella direzione della crescita, ad adempimento dell’ispirazione interiore, senza assumercene l’onere….

Chiamarlo “arrendersi” alla propria inerente natura o svolgimento del proprio dovere karmico (dharma) a questo punto non importa, succede e basta!

Paolo D’Arpini



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http://www.circolovegetarianocalcata.it/?s=libero+arbitrio+destino

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